
Luca Seta e Andrea Montovoli: «Noi, picchiati perché gay»
«Infernet». A orecchie malevole, potrebbe suonare alla stregua di una battuta sinistra, cesellata di un’ironia tendente al macabro. Invece, il neologismo coniato da Roberto Farnesi e Marcello Iappelli dà il titolo a una delle pellicole che più, a Venezia, ha impressionato il pubblico della 72ª Mostra del Cinema. Infernet, diretto da Giuseppe Ferlito e in arrivo nelle sale italiane il prossimo 28 aprile, è costruito, infatti, sulla natura duale del web. Che, risorsa meravigliosa, può trasformarsi con un niente in un inferno governato da demoni e ombre.
«Credo che poche persone, forse Gandhi o San Francesco, abbiano la fortuna di nascere con i concetti di Bene e Male già chiari nella testa», ammette Luca Seta che, insieme ad Andrea Montovoli, recita nel film la parte di un ragazzo omosessuale, picchiato da una baby gang, filmato e sbattuto in quella grande democrazia acritica che è la rete. Universo in cui a tutti è data la parola e, insieme, la possibilità di fare del male. Di questa, analizzata attraverso cinque racconti e altrettanti pericoli, racconta Infernet, pellicola di denuncia, capace di analizzare ilcyberbullismo in tutte le forme di cui si compone. Dalla pedofilia alla pornografia intesa in senso lato, fino alla prostituzione e alla dura legge del ricatto.
Le implicazioni sociali del film sono tante e attuali. Come le avete affrontate?
Luca Seta: «Personalmente, ho cercato di tenere separato l’approccio professionale e quello privato. Essendo eterosessuale, ho trovato difficile affrontare la parte del gay. Detesto prendere con leggerezza i miei ruoli, dunque ho cercato di approfondire la questione, andando alla ricerca di quella stessa dolcezza che avevo negli occhi quando, adolescente, ero un’anima libera».
Andrea Montovoli: «Ai tempi, citai Dante. Internet è un po’ come la Divina Commedia: c’è un Paradiso, un Purgatorio e un Inferno. C’è l’Infernet, e muoversi al suo interno non è stato facile, specie per il ruolo che avevo. La scena del bacio abbiamo dovuto girarla sette volte prima di portarla a casa».
Le coppie omosessuali stanno affrontando un periodo politicamente difficile.
LS: «Mi fa quasi ridere pensare che, nel 2016, l’amore possa essere un problema. Viviamo in un’era in cui figuri spregevoli convincono ragazzini a farsi saltare in aria nei vagoni della metropolitana. Eppure, ancora, preferiamo preoccuparci dell’intimità privata di una persona».
AM: «Sono un tipo all’antica, ma lungi da me fare del razzismo. Ho tanti amici gay e credo nelle evoluzioni. Dobbiamo progredire. In Italia e nel mondo, i problemi sono altri».
Il film, probabilmente, verrà proiettato nelle scuole. Sarete coinvolti nel progetto educativo?
LS: «Non ho ancora avuto conferme, ma, qualche tempo fa, mi chiesero di girare le scuole, supportando il film. Mi auguro che tutto questo si faccia. Il film, da sé, è di sicuro impatto, ma a volte un cazzotto nello stomaco non basta. Ci vuole qualcuno che ti spieghi perché lo hai preso».
AM: «Il film sarà distribuito in 40 sale, ma avrà un raggio d’azione socialmente più ampio. L’idea del regista Beppe Ferlito è di lasciare un’emozione a chiunque lo vada a vedere. Personalmente, ho parlato con l’assessore Micaela Campana e le ho dato il mio assenso: vorrei andare nelle scuole a supporto delle proiezioni».
Da personaggi pubblici, mediaticamente esposti, vi sarete interrogati spesso sul potere del web…
LS: «Il web, in sé, non è il demonio. Può essere una risorsa fantastica se utilizzata correttamente. Il problema è che i ragazzi sono, spesso, bandiere al vento. Ci vuole qualcuno che indichi loro quale vento seguire».
AM: «Come ho detto, c’è il Paradiso e l’Inferno. Mi piacerebbe che le critiche rimanessero nel Purgatorio. Il problema è che, spesso, c’è chi stalkerizza e chi critica oltre ogni limite. Vorrei ci fosse più obiettività».
Che rapporto avete con i social, spesso utilizzati per mettere alla gogna (anche) chi non lo merita?
LS: «Contraddittorio. Quando Facebook arrivò in Italia, decisi di ignorarlo. Il mio lavoro è un altro, pensai. Poi, con il tempo, capii che mi sarebbe stato utile per intrattenere un rapporto quasi personale con i fan. Dopo un periodo di abuso, ho trovato il mio equilibrio».
AM: «Io direttamente sono molto social. Seguo Instagram, ogni tanto la mia pagina Facebook. Mi piacciono, eppure ogni tanto mi trovo a rimpiangere gli anni del telefono a gettoni. Io sono dell’85 e ricordo la mia infanzia come il periodo in cui si stava meglio».
I ragazzi, oggi, imparano da piccoli a servirsi di smartphone e vari.
LS: «Cose da pazzi. Ricordo di quand’ero piccolo io. Il telefonino era una miraggio. Oggi, i bambini nascono con l’iPhone ben saldo tra le mani. È inevitabile, dunque, che vedano anche quel che non dovrebbero. Però, a guidarli verso “il proibito” dovrebbe esserci la mano di un adulto».
AM: «Noi abbiamo mostrato cinque storie, una realtà cruda in cui dovrebbero intervenire il buonsenso dei ragazzi e la supervisione dei loro genitori. La testa è tutto: dobbiamo fare in modo che i ragazzini, oggi, crescano con una testa che funzioni a dovere».
Vi siete mai trovati vittime dei bulli?
LS: «Personalmente, ho avuto fortuna. Sono cresciuto in un piccolo paese alle pendici del Monte Rosa. Noi si giocava a pallone. A volte, capitava di picchiarsi. Ma bulli, a Borgosesia, non ce n’erano».
AM: «Scene di bullismo ne ho viste alle scuole medie. Credo si trattasse più di nonnismo: i più grandi, i ripetenti, creavano situazioni di sudditanza. Io, da par mia, me ne sono sempre tenuto alla larga. Alle botte, preferivo il pallone».
Che progetti ha in serbo per voi il futuro?
LS: «Il 20 di maggio sarò in concerto a Roma, all’Auditorium della Musica. A giugno, partirò per una tournée in Kazakistan e, per l’estate, spero di poter uscire con il mio libro di poesie. Nel frattempo, sto girando con Marco Giallini una fiction Rai su Rocco Schiavone e i libri di Antonio Manzini. Sul resto, tocco ferro (ride, ndr)».
AM:«Si sta muovendo tanto, sia sul versante televisivo che cinematografico. Reality non ne farò più: sto guardando l’Isola e a volte si fa sentire un po’ di nostalgia. Ma quel capitolo è chiuso: voglio tornare ad essere attore. E sportivo. In ballo ho anche un progetto di work out».
(http://www.vanityfair.it/show/cinema/16/04/20/andrea-montovoli-luca-seta-infernet-intervista-doppia)