
Luca Seta, l’attore che strizza l’occhio al cantautorato
A Sanremo per promuovere il suo album In viaggio con Kerouak. L’intervista video in esclusiva
In Italia non è usuale trovare artisti multi piattaforma. Spesso perché l’arte sembra sia costretta ad essere univoca, gelosa delle sue varie forme d’espressione. I paletti però li pianta il pregiudizio, che spesso veste la maschera della gelosia. L’unico modo per abbattere le barriere dell’intelletto sta nel verboosare, perché non c’è rischio di cadere se si crede in ciò che si fa. Luca Seta è un attore italiano, conosciuto soprattutto per alcune serie televisive di successo. Quando lo incrocio nella sala stampa del teatro Ariston di Sanremo non riesco a non chiedergli se è veramente colui che penso sia. «Tu sei l’attore di “Un posto al Sole”?». Lui sorride, allunga la mano e subito avverto che è lì per raccontare una storia. La sua.
Nato a Borgosesia il 9 giugno del 1977, Luca è un odontoiatra mancato. Come tanti ragazzi ha iniziato a seguire un percorso, voglioso di non deludere le aspettative della famiglia ma con la voglia di poter esprimere un turbine d’emozioni che hanno bisogno d’uscire allo scoperto. Luca osa, s’iscrive ad un corso di recitazione a Milano e nel frattempo scrive, suona la chitarra. La sua vita è una pista d’atletica composta da varie corsie e in ognuna di esse corre una passione. La prima ad imporsi è quella attoriale, che lo porta dal teatro, al cinema, alla televisione. Anche per il grande pubblico diventa un attore e – ancora una volta – Luca cerca di non deludere. Per sentirsi completo, però, Luca decide nuovamente di dare spazio agli ulteriori “Io” presenti nelle altre corsie.
Nasce così “In viaggio con Kerouak” prodotto dalla Togo Music, un album che prende vita nel 2013 e che in questo tempo è cresciuto insieme a lui, cercando d’abbattere i pregiudizi. Il canto, la musica, la scrittura. Questo disco è un biglietto da visita del suo essere. 11 tracce in cui si raccontano storie, dove le sue doti di attore s’impongono in modo preponderante (“Fanculo il treno”). Un omaggio a quelli che lui considera mostri sacri come Fabrizio De Andrè (“Canzone di Marinella – parte seconda”), in cui porta alla luce i racconti del nonno sulla guerra esprimendoli nella lingua del suo sangue, il piemontese (“Cun al fusil an man”), strizzando l’occhio ai tanti corregionali che lo hanno preceduto (vedi Mau Mau). La sua vita trascorsa in parte anche a Napoli e a Roma, evidenzia influenze che probabilmente nemmeno lui aveva percepito, tanto che il suo stile ricorda le ballate di un fresco Luca Barbarossa (“Dago e Maria”).
All’ascolto si percepisce che le tante storie non sono che pezzi della sua vita, messi a nudo come introduzione ad un sogno che, per realizzarsi, ha bisogno d’essere osato.
(da http://www.padovando.com/attualita/speciali/luca-seta-lattore-che-strizza-locchio-al-cantautorato/)